martedì 24 maggio 2011

Bianca come il carbone

Solean aveva il sole nel nome e nel destino.
Solean, un ragazzo troppo sognatore per un lavoro troppo concreto. Lui sapeva di non essere adatto: si affaticava spesso, non aveva mai voglia e, in quei luoghi, si sentiva come un uccellino in gabbia. Solean aveva voglia di volare, voleva guardare lontano e vedere più di quanto facessero i suoi compagni.
Pur sapendo che quella non era la sua vocazione, ogni giorno era al suo posto, concentrato, con il piccone in mano. Il 22 ottobre Solean era pronto per scendere, come ogni mattina, ma quel giorno c’era qualcosa di strano nell’aria. Sol si aspettava qualcosa ma tutto continuò normalmente.
I suoi compagni del settore B erano sempre gli stessi: David, che non sapeva né leggere né scrivere ma aveva una positività innata, Richard, con gli occhi di ghiaccio ma il cuore che si scioglieva ad ogni  triste sguardo di Ron, il bambino. Ron era l’ultimo membro del settore B e il più piccolo della squadra. Ogni giorno, da quando aveva quattordici anni, si avviava per le strade di Green River e si recava davanti alla galleria. Ogni giorno, prima di calarsi nel pozzo, piangeva. Nessuno sapeva il perché ma ogni mattina si ripeteva sempre la stessa mesta scena.
Sol e i tre compagni scesero nella galleria; arrivati al settore B, le chiacchiere si spensero.
Il lavoro era cominciato. Il dolce brusio della pompa scandiva il ritmo dei picconi.
Solean era più lento dei compagni ma il suo tocco era preciso e forte, talmente potente che poteva far crollare tutta la miniera. Alle due del pomeriggio i minatori si prepararono per il pranzo.
Richard impugnò il sacchettino di carta e risalì la galleria per uscire, Ron lo seguiva a ruota con il pane protetto dalla carta legata con un filo tozzo e sciupato. Rimanevano soltanto Sol e David ma quest’ultimo aveva l’abitudine di mangiare camminando perciò in un attimo Solean restò solo.       
Il minatore, prima di aprire il fagotto che stringeva in mano, intonò una preghiera rozza ma talmente sentita che le parole non importavano. Afferrò il pane e se lo portò alla bocca ma, prima di assaggiarne un pezzo, si pietrificò.
Davanti a lui era comparso qualcosa.
Prima non c’era che un po’ di pietra nera e qualche grammo di terra, adesso si era materializzata un’immagine. Solean chiuse gli occhi e poi li riaprì, più volte ripeté il medesimo esercizio ma infine capì, non era un sogno. Davanti a lui stava una donna, immobile, come pietrificata.
Poteva vedere i suoi occhi infossati, la sua bocca dalle labbra screpolate e la sua fronte bassa e corrugata. Stava pensando, forse, oppure era confusa,  non capiva perché Solean la stesse guardando.
I pensieri si rincorrevano nella mente del ragazzo ma nessuna risposta gli pareva soddisfacente.
Allora si alzò e, cautamente, si avvicinò a quella figura. Questa non si muoveva, non sbatteva le palpebre, non respirava. “Buongiorno, signorina.” esclamò togliendosi il cappello con un inchino. “Posso domandare il suo nome?” La donna non rispondeva. Solean ci pensò un attimo.
“Si chiama forse Emily? Angela? Agnese?” La statua non si mosse.
Sol pensò: “Forse non è stata battezzata...”
Alzò la testa e parlò: “Se non è mai stata battezzata posso farlo io.” Prese la borraccia e bagnò la pietra nera davanti a se: “Ti battezzo col nome di...” Certo che la donna nera non avrebbe parlato, il ragazzo terminò la frase a suo piacimento: “Bianca!”
La mezz’ora per il pranzo finì e gli altri uomini scesero nel pozzo. Trovarono Sol  ancora immobile ad osservare la sua donna. Richard prese in mano il piccone ma il ragazzo urlò: “Fermo! Non fare del male a Bianca!” I compagni erano allibiti.
“È solo un pezzo di pietra!” affermò Ron osservando la parete.
Solean non parlò. Come aveva fatto a scambiare una roccia per una donna? Era forse impazzito? Eppure lui continuava a vederla quella donna, continuava a sfiorare i suoi lineamenti. Erano dolci e caldi, non erano fatti di quella pietra umida che si trova in miniera.
I compagni erano sempre più confusi. Sol continuava a guardare con occhi sognanti quella parete rocciosa. David lo spinse indietro e lo schiaffeggiò dicendo: “Amico, hai preso un abbaglio. Qui non c’è niente!”
Richard ricominciò a picconare. Sol a ogni colpo gridava: “Bianca!” Ma intanto Bianca scompariva nella polvere.
Sol socchiuse gli occhi e, pieno di amarezza, strinse i pugni e lasciò per sempre quella cupa miniera piena di trappole e trabocchetti.
Il ragazzo scese in paese e poi corse come un pazzo verso una collina isolata dal mondo. Lì si fermò e guardò l’orizzonte. Aveva corso a lungo fino al tramonto  e ora pensava a Bianca, la donna di roccia, che solo lui aveva visto. Non sarebbe più tornato in quella miniera. Troppo stretta e chiusa per i suoi pensieri liberi. Qualcuno si chiederà: “Perché proprio Bianca per  una donna di carbone?” Perché non era il colore quello che contava per Sol. Bianca come bianca era la luce che lo aveva abbagliato quel giorno. Bianca e luminosa come la bellezza della donna che solo lui aveva avuto il privilegio di vedere. E intanto il sole calava e Solean sognava di incontrare di nuovo la sua amata donna di pietra.   

Il paese era muto nell’ombra della notte
ma Solean piangeva forte, sempre più forte
e poi guardava nel nero del cielo
e riscopriva Bianca e il suo buio sorriso
E ora stava lì disteso nell’immenso
ad aspettare Bianca e con lei la luce.
E con la luce il sole.

Perché Solean aveva il sole, nel nome e nel destino.

Olivia Tilli.
La mia sorellina di terza media! Ha vinto il primo premio al concorso letterario "Pensieri di Sogno"!

Nell'incanto della notte...

Detesto la notte perchè ho bisogno del sole. "La notte è fatta per dormire" è una frase che mi rappresenta al massimo: inoltre è stata la risposta del mio istruttore di sub alla domanda "facciamo un'immersione notturna" (e poi l'immersione s'è fatta lo stesso...). Fra un anno, quando sarò io l'istruttore che si sentirà fare questa domanda, risponderò allo stesso modo, penso.
La notte è fatta per dormire però a volte fa bene andare in giro la notte. Perchè si vedono cose belle.
So che bello è un aggettivo banale, fritto e rifritto, però è raro vedere la bellezza in questi tempi bui... intendendo con bellezza qualcosa di più rispetto alla semplice conformità a determinati canoni estetici.

Autobus, linea 17, ore 22:30 circa. (Quale posto migliore per osservare l'umanità di un autobus?)
Presenti io, una signora sudamericana, un ragazzo e due uomini.
Entrano due controllori con due vigili urbani. La notte a quanto pare ci sono i vigili armati perchè si potrebbero fare brutti incontri. Un controllore e un vigile prendono visione del mio abbonamento che va bene.
Poi si dirigono dalla signora del Sudamerica.
Che il biglietto non ce l'ha. Le chiedono un documento. Passaporto. Bene.
Le chiedono il permesso di soggiorno.
Non c'è. E' a casa? domanda il vigile.
No, non c'è e basta. La signora è "clandestina".
A quel punto pensavo già che l'avrei vista trascinata in catene al più vicino commissariato.
Scambio, rapidissimo, di sguardi fra i due controllori.
E poi la domanda che non ti aspetti.
"Signora, ce l'ha due euro?"

E con i suoi due euro, nell'incanto della notte, la signora acquistò un biglietto dall'autista.

venerdì 13 maggio 2011

I pazzi siete voi

I pazzi siete voi, non certo questi fantastici ragazzi che si sono chiusi in una casa e vivranno fino al giorno del referendum contro il nucleare come dovremmo vivere tutti in caso di incidente nucleare...
Un'idea intelligente e creativa per sensibilizzare ancora su questo tema e per ripetere di VOTARE SI AL REFERENDUM... se lo faranno, ovviamente...
Ah, i pazzi siete voi non è riferito a nessuno in paricolare :D

venerdì 29 aprile 2011

Non aprite quella porta, stavolta sul serio

Ci sono certe trasmissioni televisive che non vanno guardate.
Report è una di queste.
Toglie il sonno.
Arrivata a metà di una delle scorse (molto scorse) puntate ero già in lutto: era stato annunciato il possibile oscuramento di megavideo da parte delle autorità competenti italiane.
Ora, megavideo è l'unica cosa che veramente ho sfruttato al massimo da quando ho ricevuto in regalo il computer. E' stata un po' anche una maledizione, nel senso che se non fosse esistito lo streaming avrei potuto dare Anatomia I al primo appello... Ma vabbè. Se mi chiudono megavideo... Io che ho sempre scaricato tutto da i-tunes, da brava bambina corretta...
Dopo questa allarmante notizia avevo deciso di andare a dormire, quando è stato annunciato un servizio su Wikileaks. In fondo al cuore, nei più profondi recessi della mia psiche insana sono perdutamente innamorata di Julian Assange, quindi ho detto "bene, restiamo".
Avrei dovuto andar via.
Perchè hanno fatto vedere, coi sottotitoli in italiano, un video sull'Afganistan.
L'avevo visto un'altra volta. Era abbastanza famoso qualche tempo fa'.
E' quello dell'elicottero che spara ai giornalisti, e poi al camioncino che si è fermato a soccorrere i giornalisti.
Non mi era piaciuto, se si può inserire una cosa del genere nelle categorie del 'mi piace' o del 'non mi piace'.
Però non avevo capito cosa dicevano. Non so l'inglese.
Leggere i sottotitoli è stato un incubo.
Perchè questi dicono "forza, spariamogli" e "raccolgono i feriti, spariamogli".
Probabilmente quei due elicotteristi erano in buona fede. Non si erano accorti che il cameramen aveva in mano una telecamera e non un'arma. Che il camioncino era di un padre che accompagnava i figli a scuola, che si era fermato per provare ad aiutare il ferito. Voglio sperare che fossero in buona fede.
Ma anche se temevano che quelli fossero dei 'nemici'... Spariamo. Spariamo sui feriti.
Come si arriva a dire cose del genere. Come si sopravvive dopo aver detto e fatto una cosa del genere.
Come si continua a vivere, a lavorare, a studiare sapendo che succedono cose del genere, e anche peggiori, a giro per il mondo, tutti i giorni.
Come si fa' ad avere ancora fiducia nell'uomo?
Mi sto convincendo sempre di più che l'autodistruzione segnerà la fine della nostra insana razza.

N.B.
Questo post è stato scritto molto prima dei 3 che lo precedono...non pubblicato, l'ho ritirato fuori ora per dire che ieri ho ritrovato un po' di fiducia in questa insana razza...

Grazie cyberspazio!

Grazie cyberspazio perchè ieri sono andata per la prima volta con i ragazzi di Medici per i Diritti Umani all'ex-meyer, occupazione somala... e MEDU l'ho trovata sul cyberspazio, in particolare sul blog di flowerpower di questa classe!

giovedì 28 aprile 2011

Assignment 6

Pubmed è uno strumento fantastico di diffusione del sapere medico.
Anche se secondo me sono uno strumento ancora più fantastico gli articoli di meta-letteratura, come dice il prof:
"È per questo che esiste la meta-letteratura, ovvero articoli scientifici che generano risultati a partire da quelli ottenuti in altri articoli in condizioni simili. Sono lavori che impiegano sofisticati metodi statistici per ridurre l’inevitabile incremento di incertezza nella speranza di estrarre informazioni più focalizzate e significative, nonché di fornire uno strumento abbordabile per l’aggiornamento di chi non può dedicare il tempo necessario all’esplorazione di una letteratura sterminata." 

Ai suoi tempi, quando ancora questa pseudo-scienza che è la medicina era agli albori, e quindi non credo che ci poi così tanti testi come quelli che vediamo in pubmed, Ippocrate (o chi per lui, viste la difficoltà di attribuzione di molte parti del Corpus Hippocraticum) diceva: "La vita è breve, l'arte è lunga, l'esperienza ingannevole, il giudizio difficile."
Ecco, la vita è veramente breve per conoscere tutta l'ars, o techne, medica.
In realtà la vita è molto breve per conoscere anche tutta la letteratura italiana, o la matematica, o qualsiasi cosa. Io mi preoccupo della medicina perchè mi verrà richiesto di conoscerla il più possibile.
La vastità e la complessità della materia la si visualizza bene dando un'occhiata a pubmed... Milioni di articoli, quanti saranno? E tutta quella roba lì è tutta roba che un giorno potrebbe servirti per salvare una vita.
Fa spavento. Di fronte all'incremento esponenziale delle conoscenze, delle cose da sapere, da tenere a mente, non c'è stato, per contro, un incremento pari nell'evoluzione.
Abbiamo da sapere molte più cose (tutti, non solo i medici) e un cervello uguale a quello dei nostri antenati nella Grecia antica, che già si lamentavano per via della vastità delle cose da sapere... Perchè in effetti ci sono sempre state molte più cose da sapere di quante la mente umana possa contenerne.
Sigh. L'eterna aspirazione dell'essere umano alla conoscenza, che nel caso della medicina porta alla "sindrome dell'impostore". Guardando pubmed viene da pensare a quanto il proprio cervello sia del tutto inadeguato a svolgere la professione medica. Troppa vastità. E' troppo difficile... Senza contare che pubmed e i suoi articoli, e la meta-letteratura scientifica ancor meno, non tengono contodi quella dannata variabile che c'è nel lavoro del medico, che è l'uomo. L'uomo inteso come singolo essere vivente, al quale magari un farmaco, che ha funzionato bene in altri diecimila singoli esseri viventi, non fa una mazza. 
Necesse est che io mi dia una calmata, che "allontani da me l'idea che io possa tutto", come pregava Mosè Maimonide, che sappia di non sapere, come dicono Socrate ed Ela, e che speri che quell'uomo non capiti mai davanti a me in ospedale/ambulatorio. E se capiterà, mi dovrò ricordare di chiedere aiuto a chi ne sa più di me, che c'è sempre qualcuno che ne sa più di te e ha un'idea migliore. Mi dovrò ricordare che sono un' impostore (ma impostore femmina si dice impostora? ecco, nemmeno l'italiano so...), che mi chiedono di curare qualcuno anche se io non so quasi nulla di questa benedetta medicina nella quale si dice io sia laureata. E poi dovrò ricordarmi di pubmed. Un articolo al giorno, prima di dormire, e così si tira innanzi. Si mette un po' a tacere la sindrome dell'impostore, sciacquatina alla coscienza che ti imporrebbe di studiare molto di più, anche se hai sonno, senza sapere tutto, anzi, sapendo poco o nulla, sperando che il computer non si rompa e la connessione regga. Sperando comunque, nonostante l'inadeguatezza e l'ignoranza, di poter combinare qualcosa di buono.

martedì 26 aprile 2011

Una storia di liberazione

Lo so, lo so che uno dovrebbe sfruttare le vacanze di pasqua per studiare a palla quella benedetta anatomia rimandata continuamente... Però quest'anno c'era anche il 25 Aprile.
Vorrei raccontare una storia di liberazione, di quelle che magari non finiranno mai nei libri di storia, ma che testimoniano l'ordinaria follia e l'ordinario coraggio tipici di ogni guerra.
Nel 1945 la mia tata (che non è da leggersi babysitter, ma amica di famiglia, che ha cresciuto mia mamma e mio zio, me e le mie cugine, continuando a lavorare, anche oggi che ha più di 80 anni, come fisioterapista... tata nella Livorno da cui proviene significa sorella, quindi, è un po' in questo senso che va letta la parola tata)... La mia tata aveva 20 anni, più o meno.
Era stata sfollata in montagna, non ricordo quale montagna della Toscana, poco tempo dopo l'inizio della guerra, insieme alle sue colleghe e ai bambini di cui si occupavano nel sanatorio per figli di tubercolotici, dove aveva lavorato la sua mamma, dove suo fratello aveva passato praticamente tutta l'infanzia.
Adesso le cose erano ''cambiate'': la mamma era da qualche parte a Livorno, il fratello era stato in Marina, poi aveva disertato e si era unito alle Brigate Partigiane Comuniste.
Il suo gruppo si trovava presso il rifugio di montagna dove erano rintanati la mia tata e i bambini. La notte, ogni tanto, i partigiani andavano a dormire nel rifugio, per scappare la mattina presto, prima che arrivasse la consueta perquisizione tedesca, con tanto di requisizione forzata di quasi tutto il poco che c'era da mangiare e ragazze nascoste sotto il letto, mentre l'anziana direttrice ripeteva "qui non ci sono donne, solo bambine".
A volte arrivava anche il medico delle truppe tedesche. Allora le ragazze potevano uscire. Un controllo veloce a tutti i bambini, somministrazione di quei pochi medicinali che aveva rubato ai suoi commilitoni, gli occhi bassi, velati, e l'italiano stentato che ripeteva "mi vergogno di essere tedesco".
Una notte, mentre la mia tata stendeva i fazzoletti rossi dei partigiani ad asciugare, di notte perchè i tedeschi non li vedessero, arriva suo fratello.
Domani a mezzanotte gli Alleati hanno organizzato un blitz per farvi uscire. Dovete prendere tutti i bambini, e attraversare il grande prato che vi separa dal sentiero che porta a valle, e per fortuna è coperto dalla montagna. Noi e gli americani saremo là.
Bene, bene. Buon piano.
Tutto il giorno seguente è occupato dalla preparazione alla partenza. Si raccoglie quel poco che c'è, si istruiscono i bambini, si decide quali dovranno essere portati in collo, si riflette sul fatto che il prato è veramente ampio e ci vorrà molto tempo per percorrerlo tutto, fino al sentiero riparato. Si aspetta la mezzanotte.
E alle undici di sera arrivano i tedeschi.
Perquisizione.
E ora? Si spera che i tedeschi se ne vadano velocemente.
Siè. Hanno fame. Vogliono mangiare.
Nel frattempo è arrivato anche Aldo. Il fratello della mia tata.
"Siete pronte per scendere..." No, guarda, c'è un problema.
Mentre la direttrice trattiene i tedeschi, si pensa a cosa fare.
E a quel punto, il piano folle di Aldo: preparate loro da mangiare. Tutto quello che c'è.
Poi dategli tutto il vino che è rimasto. Io scendo a valle.
E' quasi mezzanotte e mezzo quando la mia tata gira nella porta la chiave della cucina, rinchiudendo i tedeschi, armati e ubriachi.
Si parte! Un po' in ritardo, ma si parte. Ci vorrà un'ora per percorrere tutto il prato, stando attenti perchè è buio e non si possono accendere luci, bisogna affidarsi solo alle stelle, e alla luna che, fortunatamente o disgraziatamente, è piena.
Sono quasi arrivate al limite del prato, mancheranno cento metri. Cento metri e poi c'è il burrone, davanti, e lateralmente il sentiero, protetto dalla montagna. Cento metri.
E con la luna piena si vede tutto.
Cominciano gli spari. Gli spari dall'alto. I tedeschi si sono svegliati.
E cominciano gli spari anche dal basso.
I partigiani e gli americani si sono accorti che i tedeschi si sono svegliati.
E in mezzo, una quarantina fra donne e bambini.
Teste basse e correre! Correre più veloci che mai, e fregarsene se si perdono i pochi bagagli, correre coi bambini per mano, correre e pregare, pregare...
Grazie a Dio, nessun ferito. E nessun morto.
Non era il 25 Aprile. Forse non era nemmeno il '45, ma uno degli ultimi mesi del '44.
Buon 25 Aprile!