venerdì 29 aprile 2011

Non aprite quella porta, stavolta sul serio

Ci sono certe trasmissioni televisive che non vanno guardate.
Report è una di queste.
Toglie il sonno.
Arrivata a metà di una delle scorse (molto scorse) puntate ero già in lutto: era stato annunciato il possibile oscuramento di megavideo da parte delle autorità competenti italiane.
Ora, megavideo è l'unica cosa che veramente ho sfruttato al massimo da quando ho ricevuto in regalo il computer. E' stata un po' anche una maledizione, nel senso che se non fosse esistito lo streaming avrei potuto dare Anatomia I al primo appello... Ma vabbè. Se mi chiudono megavideo... Io che ho sempre scaricato tutto da i-tunes, da brava bambina corretta...
Dopo questa allarmante notizia avevo deciso di andare a dormire, quando è stato annunciato un servizio su Wikileaks. In fondo al cuore, nei più profondi recessi della mia psiche insana sono perdutamente innamorata di Julian Assange, quindi ho detto "bene, restiamo".
Avrei dovuto andar via.
Perchè hanno fatto vedere, coi sottotitoli in italiano, un video sull'Afganistan.
L'avevo visto un'altra volta. Era abbastanza famoso qualche tempo fa'.
E' quello dell'elicottero che spara ai giornalisti, e poi al camioncino che si è fermato a soccorrere i giornalisti.
Non mi era piaciuto, se si può inserire una cosa del genere nelle categorie del 'mi piace' o del 'non mi piace'.
Però non avevo capito cosa dicevano. Non so l'inglese.
Leggere i sottotitoli è stato un incubo.
Perchè questi dicono "forza, spariamogli" e "raccolgono i feriti, spariamogli".
Probabilmente quei due elicotteristi erano in buona fede. Non si erano accorti che il cameramen aveva in mano una telecamera e non un'arma. Che il camioncino era di un padre che accompagnava i figli a scuola, che si era fermato per provare ad aiutare il ferito. Voglio sperare che fossero in buona fede.
Ma anche se temevano che quelli fossero dei 'nemici'... Spariamo. Spariamo sui feriti.
Come si arriva a dire cose del genere. Come si sopravvive dopo aver detto e fatto una cosa del genere.
Come si continua a vivere, a lavorare, a studiare sapendo che succedono cose del genere, e anche peggiori, a giro per il mondo, tutti i giorni.
Come si fa' ad avere ancora fiducia nell'uomo?
Mi sto convincendo sempre di più che l'autodistruzione segnerà la fine della nostra insana razza.

N.B.
Questo post è stato scritto molto prima dei 3 che lo precedono...non pubblicato, l'ho ritirato fuori ora per dire che ieri ho ritrovato un po' di fiducia in questa insana razza...

Grazie cyberspazio!

Grazie cyberspazio perchè ieri sono andata per la prima volta con i ragazzi di Medici per i Diritti Umani all'ex-meyer, occupazione somala... e MEDU l'ho trovata sul cyberspazio, in particolare sul blog di flowerpower di questa classe!

giovedì 28 aprile 2011

Assignment 6

Pubmed è uno strumento fantastico di diffusione del sapere medico.
Anche se secondo me sono uno strumento ancora più fantastico gli articoli di meta-letteratura, come dice il prof:
"È per questo che esiste la meta-letteratura, ovvero articoli scientifici che generano risultati a partire da quelli ottenuti in altri articoli in condizioni simili. Sono lavori che impiegano sofisticati metodi statistici per ridurre l’inevitabile incremento di incertezza nella speranza di estrarre informazioni più focalizzate e significative, nonché di fornire uno strumento abbordabile per l’aggiornamento di chi non può dedicare il tempo necessario all’esplorazione di una letteratura sterminata." 

Ai suoi tempi, quando ancora questa pseudo-scienza che è la medicina era agli albori, e quindi non credo che ci poi così tanti testi come quelli che vediamo in pubmed, Ippocrate (o chi per lui, viste la difficoltà di attribuzione di molte parti del Corpus Hippocraticum) diceva: "La vita è breve, l'arte è lunga, l'esperienza ingannevole, il giudizio difficile."
Ecco, la vita è veramente breve per conoscere tutta l'ars, o techne, medica.
In realtà la vita è molto breve per conoscere anche tutta la letteratura italiana, o la matematica, o qualsiasi cosa. Io mi preoccupo della medicina perchè mi verrà richiesto di conoscerla il più possibile.
La vastità e la complessità della materia la si visualizza bene dando un'occhiata a pubmed... Milioni di articoli, quanti saranno? E tutta quella roba lì è tutta roba che un giorno potrebbe servirti per salvare una vita.
Fa spavento. Di fronte all'incremento esponenziale delle conoscenze, delle cose da sapere, da tenere a mente, non c'è stato, per contro, un incremento pari nell'evoluzione.
Abbiamo da sapere molte più cose (tutti, non solo i medici) e un cervello uguale a quello dei nostri antenati nella Grecia antica, che già si lamentavano per via della vastità delle cose da sapere... Perchè in effetti ci sono sempre state molte più cose da sapere di quante la mente umana possa contenerne.
Sigh. L'eterna aspirazione dell'essere umano alla conoscenza, che nel caso della medicina porta alla "sindrome dell'impostore". Guardando pubmed viene da pensare a quanto il proprio cervello sia del tutto inadeguato a svolgere la professione medica. Troppa vastità. E' troppo difficile... Senza contare che pubmed e i suoi articoli, e la meta-letteratura scientifica ancor meno, non tengono contodi quella dannata variabile che c'è nel lavoro del medico, che è l'uomo. L'uomo inteso come singolo essere vivente, al quale magari un farmaco, che ha funzionato bene in altri diecimila singoli esseri viventi, non fa una mazza. 
Necesse est che io mi dia una calmata, che "allontani da me l'idea che io possa tutto", come pregava Mosè Maimonide, che sappia di non sapere, come dicono Socrate ed Ela, e che speri che quell'uomo non capiti mai davanti a me in ospedale/ambulatorio. E se capiterà, mi dovrò ricordare di chiedere aiuto a chi ne sa più di me, che c'è sempre qualcuno che ne sa più di te e ha un'idea migliore. Mi dovrò ricordare che sono un' impostore (ma impostore femmina si dice impostora? ecco, nemmeno l'italiano so...), che mi chiedono di curare qualcuno anche se io non so quasi nulla di questa benedetta medicina nella quale si dice io sia laureata. E poi dovrò ricordarmi di pubmed. Un articolo al giorno, prima di dormire, e così si tira innanzi. Si mette un po' a tacere la sindrome dell'impostore, sciacquatina alla coscienza che ti imporrebbe di studiare molto di più, anche se hai sonno, senza sapere tutto, anzi, sapendo poco o nulla, sperando che il computer non si rompa e la connessione regga. Sperando comunque, nonostante l'inadeguatezza e l'ignoranza, di poter combinare qualcosa di buono.

martedì 26 aprile 2011

Una storia di liberazione

Lo so, lo so che uno dovrebbe sfruttare le vacanze di pasqua per studiare a palla quella benedetta anatomia rimandata continuamente... Però quest'anno c'era anche il 25 Aprile.
Vorrei raccontare una storia di liberazione, di quelle che magari non finiranno mai nei libri di storia, ma che testimoniano l'ordinaria follia e l'ordinario coraggio tipici di ogni guerra.
Nel 1945 la mia tata (che non è da leggersi babysitter, ma amica di famiglia, che ha cresciuto mia mamma e mio zio, me e le mie cugine, continuando a lavorare, anche oggi che ha più di 80 anni, come fisioterapista... tata nella Livorno da cui proviene significa sorella, quindi, è un po' in questo senso che va letta la parola tata)... La mia tata aveva 20 anni, più o meno.
Era stata sfollata in montagna, non ricordo quale montagna della Toscana, poco tempo dopo l'inizio della guerra, insieme alle sue colleghe e ai bambini di cui si occupavano nel sanatorio per figli di tubercolotici, dove aveva lavorato la sua mamma, dove suo fratello aveva passato praticamente tutta l'infanzia.
Adesso le cose erano ''cambiate'': la mamma era da qualche parte a Livorno, il fratello era stato in Marina, poi aveva disertato e si era unito alle Brigate Partigiane Comuniste.
Il suo gruppo si trovava presso il rifugio di montagna dove erano rintanati la mia tata e i bambini. La notte, ogni tanto, i partigiani andavano a dormire nel rifugio, per scappare la mattina presto, prima che arrivasse la consueta perquisizione tedesca, con tanto di requisizione forzata di quasi tutto il poco che c'era da mangiare e ragazze nascoste sotto il letto, mentre l'anziana direttrice ripeteva "qui non ci sono donne, solo bambine".
A volte arrivava anche il medico delle truppe tedesche. Allora le ragazze potevano uscire. Un controllo veloce a tutti i bambini, somministrazione di quei pochi medicinali che aveva rubato ai suoi commilitoni, gli occhi bassi, velati, e l'italiano stentato che ripeteva "mi vergogno di essere tedesco".
Una notte, mentre la mia tata stendeva i fazzoletti rossi dei partigiani ad asciugare, di notte perchè i tedeschi non li vedessero, arriva suo fratello.
Domani a mezzanotte gli Alleati hanno organizzato un blitz per farvi uscire. Dovete prendere tutti i bambini, e attraversare il grande prato che vi separa dal sentiero che porta a valle, e per fortuna è coperto dalla montagna. Noi e gli americani saremo là.
Bene, bene. Buon piano.
Tutto il giorno seguente è occupato dalla preparazione alla partenza. Si raccoglie quel poco che c'è, si istruiscono i bambini, si decide quali dovranno essere portati in collo, si riflette sul fatto che il prato è veramente ampio e ci vorrà molto tempo per percorrerlo tutto, fino al sentiero riparato. Si aspetta la mezzanotte.
E alle undici di sera arrivano i tedeschi.
Perquisizione.
E ora? Si spera che i tedeschi se ne vadano velocemente.
Siè. Hanno fame. Vogliono mangiare.
Nel frattempo è arrivato anche Aldo. Il fratello della mia tata.
"Siete pronte per scendere..." No, guarda, c'è un problema.
Mentre la direttrice trattiene i tedeschi, si pensa a cosa fare.
E a quel punto, il piano folle di Aldo: preparate loro da mangiare. Tutto quello che c'è.
Poi dategli tutto il vino che è rimasto. Io scendo a valle.
E' quasi mezzanotte e mezzo quando la mia tata gira nella porta la chiave della cucina, rinchiudendo i tedeschi, armati e ubriachi.
Si parte! Un po' in ritardo, ma si parte. Ci vorrà un'ora per percorrere tutto il prato, stando attenti perchè è buio e non si possono accendere luci, bisogna affidarsi solo alle stelle, e alla luna che, fortunatamente o disgraziatamente, è piena.
Sono quasi arrivate al limite del prato, mancheranno cento metri. Cento metri e poi c'è il burrone, davanti, e lateralmente il sentiero, protetto dalla montagna. Cento metri.
E con la luna piena si vede tutto.
Cominciano gli spari. Gli spari dall'alto. I tedeschi si sono svegliati.
E cominciano gli spari anche dal basso.
I partigiani e gli americani si sono accorti che i tedeschi si sono svegliati.
E in mezzo, una quarantina fra donne e bambini.
Teste basse e correre! Correre più veloci che mai, e fregarsene se si perdono i pochi bagagli, correre coi bambini per mano, correre e pregare, pregare...
Grazie a Dio, nessun ferito. E nessun morto.
Non era il 25 Aprile. Forse non era nemmeno il '45, ma uno degli ultimi mesi del '44.
Buon 25 Aprile!

venerdì 15 aprile 2011

Lybia 2

Qualche tempo fa' avevo detto che Emergency non è in Libia.
Forse non c'era ancora ma adesso c'è.
Sono a Misurata, proprio in mezzo alla guerra.
Da Misurata: 13 Aprile
Da Misurata: 12 Aprile
Da Misurata: 11 Aprile

giovedì 14 aprile 2011

Girellando per il cyberspazio...

Girellando per il cyberspazio ho scoperto una cosa curiosa di cui non sospettavo nemmeno l'esistenza: BOINC. Che cos'è?
E' un software. E a rispondere così non si dice nulla.
E' l'acronimo di Berkeley Open Infrastructure for Network Computing. E' un software inventato dall'università di **** (e qui non lo scrivo perchè con un po' d'occhio si ricava dal contesto) che utilizza la potenza inutilizzata dal pc su cui è installato per elaborare dati e fare calcoli che sono utili ad alcuni progetti di ricerca di vario genere, medico, matematico, astronomico.
In pratica il computer quando è acceso e fa' le sue cose normalmente (navigazione, controllo posta, ascolto della musica etc etc) sfrutta le sue reali capacità di calcolo per un 10% o giù di lì. Un po' come il nostro cervello, che lavora sempre in tono minore.
Invece quando c'è BOINC il computer connesso a internet lavora sempre al 100%, manipolando dati che gli vengono inviati dai vari progetti di ricerca che si servono di lui.
Secondo wikipedia (nota fonte di notizie certe e comprovate :P) BOINC conta circa 485.000 computer attivi (hosts) intorno al mondo che elaborano una media di 5.053 PetaFLOPS (alla data del 6 febbraio 2011) posizionandosi - come potenza di calcolo – al di sopra del supercomputer più veloce al momento (Tianhe-1, con un rate di elaborazione di 2.507 PetaFLOPS).
Fra le ricerche che lo utilizzano, alcune mi sono sembrate interessanti. Malariacontrol, per esempio, che si propone di elaborare dei modelli di simulazione delle dinamiche di trasmissione del Plasmodium falciparum, allo scopo di simulare l'attuale stato della malaria nel mondo per distribuire in maniera più efficace supporti medici. Oppure il progetto SETI per la ricerca degli alieni... :-)
La scoperta di Boinc mi ha fatto venire in mente un paio di cose.
1) I computer.
Mio nonno era un geografo, lavorava alle officine Galileo a Firenze, e alle officine Galileo avevano un computer. Mio babbo non si ricorda a che cosa servisse (e mio nonno non può più dircelo...), ma si ricorda che una volta il nonno lo portò a vedere il computer. Occupava una stanza intera. Indicando quell'enorme macchina mio nonno disse: "guarda bene, questo è il futuro."
Come avevi ragione, nonno!
Adesso i computer servono a tutto, e la ricerca scientifica è di certo quella che più si è giovata di questo. Capacità di trattare milioni di dati e di calcoli, trascriverli e puff, ecco fuori il risultato. Altro che Einstein, che si faceva fare dalla moglie i conti sulla teoria della relatività.
Quello che spero è che al computer non venga mai data troppa libertà.
Nel senso, elabora sì il dato, mettilo in ordine, fa' una statistica, ma poi basta. Perchè il cervello forse non può essere usato al 100% ma funziona comunque sempre meglio di un computer.
2) La condivisione.
Il potere di calcolo di decine di migliaia di computer supera quello del più grosso supercomputer. Vorrà dire qualcosa? Che queste stupide macchine ci stiano indicando, nella freddezza dei loro codici binari, che condividendo si raggiungono i migliori risultati? Che l'oceano è fatto di gocce?
E c'era bisogno del computer per ricordarselo?

Ok, io penso che installerò Boinc, previa consultazione con il mio webmaster altrimenti mi sbrana e mi distrugge il computer. Preparati, mio caro pc: d'ora in avanti SI COMINCIA A LAVORARE!

sabato 9 aprile 2011

Assignment 3

Ho finito da poco di leggere "Coltivare le connessioni". L'ho letto sotto un albero, seduta per terra, con davanti un bel vigneto. Sono veramente fortunata! Vivere in campagna può essere una noia per le relazioni umane, ma permette di entrare in comunione con la natura, qualcosa che è difficile fare abitando in centro...
Questo che ho scritto qui sopra c'entra abbastanza col commento a "Coltivare le connessioni", compito dell'Assignment 3. Leggendolo mi sono venute in mente un sacco di cose: ma veramente, dovrei scrivere un altro pamphlet di commento al pamphlet e penso di non averne il tempo, e che non possa neanche risultare troppo interessante. Così voglio riferirmi soltanto a un'idea espressa nella parte 'oi dialogoi' (dal prof): "Una delle cose che vorrei comunicarvi è proprio l'idea che si possa essere anche persone vere e tecnologiche, recuperando la nostra percezione delle cosa vive per usare davvero bene internet che è massimamente viva".
Penso che la dicotomia 'verità/tecnologia' esista. 'Verità/tecnologia' non rende molto l'idea: meglio usare 'realtà' e 'realtà virtuale', o spazio e cyberspazio, per evitare diciture inflazionate.
Nello spazio c'è il sole, il cielo, gli alberi, il mare, le nuvole, la luna, il mio gatto che ronfa, il mio tavolo ingombro di libri, la mia biblioteca biomedica, i miei amici che studiano, la mia sorella che si incavola.
Esistono a tutto tondo: sono 'cose' (usato in senso improprio) che sento con le orecchie, vedo con gli occhi, posso toccare, di cui posso sentire l'odore (io no perchè ho il raffreddore 365gg l'anno...).
Invece il cyberspazio è essenzialmente scritto. Un'insieme di parole/immagini su un foglio.
Quello che sto malamente cercando di esprimere è che il cyberspazio, lo stare un'ora connessa a internet leggendo blog e cercando connessioni, non solo con persone ma anche con idee e informazioni, non mi da' le stesse emozioni che stare un'ora fuori con gli amici o da sola a spasso per i campi (o mamma, messa così fa' molto Heidi...), non mi da' la stessa soddisfazione, lo stesso divertimento, la stessa sensazione di star vivendo un'esistenza piena e ricca.
Forse è un problema mio. Forse è una questione di evoluzione.
Mi immagino che magari i miei figli o nipoti saranno talmente abituati al cyberspazio da viverlo come se fosse reale. Magari sono io indietro e nella linea evolutiva sono ferma all'omino col martello pneumatico mentre qualcuno è già all'omino al computer.

P.S.
Ho deciso di mandare per e-mail "Coltivare le connessioni" alla mia prof di Filosofia (che alcune di questa blogoclasse conoscono bene :-)), che secondo me ha capito e applica benissimo il concetto di PLE in filosofia e storia...infatti si scontra (e a volte cade...) continuamente col sistema del voto, che è quanto di più distante dal PLE si possa immaginare...